Monti e la Fornero stanno spianando la strada a “La morte moderna”?

di Maurizio Gasparello

Stoccolma, 1978. Il tema all’ordine del giorno del simposio a porte chiuse organizzato dal FATER (comitato Fase Terminale della vita umana)[1] verte su come eliminare, con metodi democratici, umanamente, moralmente e politicamente corretti, gli anziani ormai diventati, con le loro pensioni e la loro assistenza sanitaria, un peso insopportabile per le casse pubbliche di una Svezia con sempre meno giovani e più vecchi improduttivi, al punto da mettere in crisi l’economia e il rapporto tra le generazioni e lo Stato Sociale.

Essendo un simposio a porte chiuse, i media non sono ammessi, così come non lo sono i diretti interessati, ossia i vecchi, massa con diritto di parola solo in occasione del rituale-feticcio del suffragio universale, ma esclusa dalle sedi dove si decide veramente il loro destino, nelle quali sono invece “altri” a parlare: dirigenti del dipartimento del Ministero degli Affari Sociali o di Istituti di Bioetica, intellettuali e teologi, che costituiscono una parte importante della tecnocrazia dominante e, in quanto tale, autolegittimata a decidere sui valori e sui fini ultimi della società.

Una società nella quale “uno svedese su quattro è in pensione di anzianità, e uno su otto in età produttiva è in pensionamento anticipato. Il 75% dei costi assistenziali va alla cura di malati cronici e senza speranza (...). In quel 25% di soggetti produttivi su sui grava il peso di tutto il sistema serpeggia uno scontento più o meno accentuato”. La conclusione a cui giunge il FATER, per bocca del moderatore del simposio, è logica e razionale: “avremo presto bisogno di più morti. Ma come fare?”. E, soprattutto, come farlo senza ledere i principi della democrazia? Lo scontento dei ceti produttivi entra infatti in rotta di collisione con il diritto di voto: nessun partito può permettersi di perdere il sostegno dei milioni di elettori costituiti dagli anziani. A questa difficoltà si aggiunge quella del tabù del rispetto della vita umana. Il totalitarismo progressista esige il rispetto formale della libertà del cittadino, che deve agire secondo coscienza. Scopo del FATER è quindi cercare i modi per convincere gli anziani, costosi ed improduttivi, a morire anticipatamente per propria volontà. Per incentivare tale scelta di eutanasia volontaria in assenza di permanente compromissione della qualità della vita per malattia, menomazione o condizione psichica, occorre inculcare il principio che è la vecchiaia in quanto tale a dover essere considerata un’insostenibile condizione di vita, supportata della consapevolezza e dal senso di colpa che gli anziani distruggono, con la loro inutile vita da vecchi, le risorse della collettività che avevano contribuito a produrre: ma per questo estremo ed “ultimo atto di autonomia” è necessario “il condizionamento psicologico degli anziani, così che siano loro stessi a voler farla finita”.

La degenerazione totalitaria del sistema democratico consiste nell’opera delle èlites volta a persuadere i cittadini a volere quanto le stesse èlites vogliono, mediante la costruzione di un immaginario collettivo nel quale gli interessi dei dominanti coincidono con il bene comune. Opera per la quale occorre fare ricorso a massicce dosi di buoni sentimenti: l’atto di eutanasia volontaria viene programmato come una festa in onore dell’anziano e una sconfitta della solitudine della vecchiaia. Lo spirito sociale manipolato un po’ alla volta farà arrivare il giusto messaggio ai vecchi improduttivi: “Tu hai avuto la tua vita, hai fatto la tua parte, e noi speriamo che tu sia soddisfatto, in ogni caso ti ringraziamo. E se tu, da parte tua, volessi ringraziare la società per quello che ha fatto per te, sai senz’altro cosa puoi fare. No? Andiamo, su. Proprio quello. è solo come addormentarsi dopo una lunga giornata di lavoro. Chiama la direzione della Sanità e Affari Sociali e chiedi del Servizio Anziani. Ti aspettiamo, sei il benvenuto, non attendere troppo”. “Dà sicuramente un senso di sicurezza, tutto questo, uno si sente accolto nell’abbraccio della società e può dimenticare l’isolamento e l’amarezza della vecchiaia. La società assume o completa la funzione rassicurante della religione”.

E nella fiera dei buoni sentimenti non può mancare la ragione di scambio tra un sacrificio individuale e un bene più grande: è meglio prolungare la vita penosa del nonno o con quei soldi aiutare i bambini del Terzo Mondo a vivere? Lo stesso tipo di scambio proposto dai Farisei a Giuda per il suo tradimento al prezzo di trenta denari, che potevano essere utilizzati per fare del bene a tanti  poveri...

Nella democrazia di mercato, che costituisce il brodo di coltura e cultura del FATER, Dio è morto: “nella società contemporanea è l’economia a consegnare all’umanità sul Sinai le tavole della Legge”[2].

 

Fin qui un breve e non esaustivo riassunto de “La morte moderna” di Carl-Henning Wijkmark, romanzo breve, provocatorio e profetico, pubblicato per la prima volta in Svezia nel 1978. Profetismo che pare essere in dirittura di arrivo, se ne colgono ormai le evidenti avvisaglie, nell’attuale società globalizzata nel nome dell’economia di mercato.

Un processo relativamente lento ma inesorabile, quello preconizzato da Wijkmark, che però non tiene conto delle improvvise accelerazioni della realtà, magari sotto le pressione di una crisi economico-finanziaria epocale.

L’intervista sul Corriere del 18/12/2011 (clicca qui per leggerla) del ministro del welfare Elsa Fornero “è agghiacciante. Le sua lacrime si sono rivelate quel che erano e sono: lo sfogo di una tecnocrate intenta a distruggere la vita, le speranze e i sacrifici di milioni di italiani con la buona fede del boia.

A parte i vari punti tecnici su particolari categorie e calcoli ragionieristici, questa Thatcher in sedicesimo  sostiene cinque tesi fondamentali. 1)«la pensione si commisura alla speranza di vita». Innalzare la soglia del pensionamento segue le statistiche e non l’esistenza concreta degli individui. Paradossalmente, se l’aspettativa di vita dovesse crescere ancora, in teoria si dovrebbe accedere alla pensione a 75, 80, 90 anni. Naturalmente – e fortunatamente – la scienza medica non è arrivata né arriverà a garantire tanto. La questione è un’altra: con gli acciacchi e le malattie della vecchiaia, i soldi di una pensione tendenzialmente sempre più posticipata serviranno praticamente a pagare le spese di dottori e ospedali. E’ giusto, questo? 2) «Per funzionare ha bisogno di un sistema in crescita. Non ci possiamo permettere la stagnazione e tantomeno la recessione. Il punto è: il lavoro è ciò che ti dà la pensione. … vi stiamo chiedendo di lavorare di più, perché questo vi premia». Il modello contributivo, che era già stato introdotto e con questo governo diventa totalizzante, di fatto aggancia la pensione a quanto uno ha lavorato e percepito lungo l’intero arco della carriera. Con la flessibilità dei contratti, però, il lavoro diventa un campo minato privo di certezze e lunghe durate. Questo induce ad un affannosa ricerca di impieghi, anche sommati uno sull’altro, pur di accumulare crediti pensionistici. Non è davvero più vita, ma schiavitù legalizzata. Si vivrà per lavorare, e non viceversa. 3) «Se guardiamo alla curva delle retribuzioni, lo stipendio sale con l'anzianità mentre in altri Paesi cresce con la produttività e quindi fino all'età della maturità professionale ma poi scende nella fase finale, perché il lavoratore anziano è di regola meno produttivo». La Fornero pensa a bloccare prepensionamenti e assicurarsi che le aziende tengano alle proprie dipendenze ultrassessantenni fino al 70mo anno di età prefigurando una paga calante con l’anzianità. Sei vecchio ma la tua esperienza e i tuoi meriti non contano: devi sgobbare fino all’ultimo e per di più con una retribuzione minore, perché così conviene alle imprese e allo Stato. 4) «Io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto». La ministro, che almeno ha il pregio della chiarezza, dice apertamente che l’operazione di maquillage che prevede la riduzione della giungla di contratti atipici in una sola forma contrattuale avverrà in cambio dell’abbattimento dell’ostacolo noto come articolo 18. In poche parole, via libera al licenziamento libero. Il lavoratore diventa definitivamente una variabile economica, una merce da usare e buttare via quando non serve più ai profitti. 5) «Non ce lo possiamo più permettere». Può essere presa come la frase-manifesto, che racchiude la filosofia di questo esecutivo etero diretto dalla Bce e dalle banche internazionali. Il bilancio dello Stato, gli indicatori economici, il sistema pensionistico, il diritto e la politica: non devono essere al nostro servizio, delle persone in carne e ossa e della comunità concreta. Dobbiamo essere noi, dev’essere la nostra vita a piegarsi alle esigenze contabili e finanziarie. I numeri diventano i padroni assoluti dei bisogni, dei sogni, delle fatiche della gente. I sentimenti, la storia, i progetti, il sangue e  il sudore non contano nulla, di fronte alla volontà sacra e incontestabile del denaro. Viviamo in un incubo partorito dalla mente di un economista”[3]..

Il FATER non è più fantasia: è realtà. Con alcune differenze fondamentali tra quanto preconizzato da Wijkmark e quanto annunciato dalla Prof.sa Fornero:

  1. ne “La morte moderna” gli anziani erano considerati un problema solamente oltre un certo limite di tempo dopo il raggiungimento dell’età pensionabile o quando bisognosi di cure sanitarie; nella dura realtà della società del profitto, della quale la Sig.ra Fornero è una valente servitrice, gli anziani sono un problema anche prima di andare in pensione: siccome l’asticella per maturarne il diritto si alza sempre di più, nella fase terminale dell’attività lavorativa il vecchio ha il difetto di non essere abbastanza produttivo. L’anziano (ma quando si inizia ad esserlo, a questo punto? E chi lo decide?) è un problema sociale a prescindere: se va in pensione troppo presto grava sui conti pubblici, se va troppo tardi produce troppo poco e ruba il lavoro ai giovani, meno costosi e più redditizi. La logica economico-razionale della Fornero è quella dei lager nazisti, dove per i deportati abili al lavoro vigeva la regola dell’ Arbeit macht frei, mentre per tutti gli altri era preferibile una gita alle docce. Nell’ottica del «Non ce lo possiamo più permettere» è implicito un limite alla legittimità della durata dell’esistenza in vita in quanto non ci sono limiti alla logica del profitto. Bisogna onestamente riconoscere che i tecnocrati del FATER immaginati da Wijkmark, almeno, avevano più stile;
  2. con l’abbattimento dell’articolo 18 e la libertà di licenziamento, il ruolo su chi decide quando si diventa anziani (e quindi un peso per la società), di fatto spetta ai datori di lavoro, i quali avranno l’onore di decidere la morte civile per chi porterà la colpa di non essere abbastanza produttivo prima del raggiungimento dell’età della pensione, espellendolo dal mondo del lavoro anzitempo. Il FATER descritto da Wijkmark aveva la premura e la delicatezza di utilizzare, per dirla alla Pierre Bourdieu, il metodo della “violenza dolce” quale incentivo al suicidio eutanasico per le persone inutili; nel sistema auspicato dalla Fornero l’istigazione al suicidio per gli inutili passa per la violenza tout court dell’esclusione sociale, della povertà, della disperazione esistenziale: nulla di quanto non strettamente funzionale alla triade della produzione-profitto-consumo merita di essere salvato. Ci penseranno spontaneamente i diretti interessati a capire l’aria che tira e prendere la decisione giusta, senza nemmeno recare il disturbo di una telefonata al Servizio Anziani del Ministero della Sanità e Affari Sociali per richiedere assistenza: le statistiche sull’aumento del numero dei suicidi stanno già raccogliendo i primi dati positivi su questa auspicabile tendenza la quale, oltretutto, permette di risparmiare il denaro pubblico che, diversamente, si sarebbe dovuto impiegare per gestire il farraginoso processo produttivo del suicidio assistito così come immaginato dal FATER.

Il FATER è tra noi, ma non è quello con il sorriso suadente immaginato da Wijkmark. E sul fatto che le crisi siano in grado di piallare a dovere le coscienze ed introdurre cambiamenti in precedenza considerati inaccettabili, ci illumina un compagno di accademiche merende della Sig.ra Fornero, nientedimeno che l’attuale Presidente del Consiglio italiano che, di queste cose, è uno che se ne intende. In una video intervista (clicca qui per vederla) il Prof. Mario Monti dichiara infatti:

“Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parte delle sovranità nazionali a un livello comunitario. è chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini ad una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo di farle perché c’è una crisi in atto visibile e conclamata. Abbiamo bisogno delle crisi come il G20, come gli altri consessi internazionali, per fare passi avanti. Ma quando una crisi sparisce, rimane un sedimento, perché si sono messe in opera istituzioni, leggi, eccetera, per cui non è pienamente reversibile”.

Questo discorso è importantissimo, al di là dello specifico argomento trattato, perché da un punto di vista sistemico pone in evidenza il fatto di quanto una crisi sia utile per imporre cambiamenti che, in tempi normali, sarebbe impossibile conseguire. La logica “crisi – costo politico e psicologico – cessioni da parte del potere politico e della collettività nazionale - cambiamento irreversibile” può essere applicata a qualsiasi aspetto della convivenza civile e delle sue regole acquisite. Una crisi può tornare tanto più utile quanto gonfiata (o al limite, del tutto inventata) e pilotata ad arte. è del tutto evidente che, in tempi normali, non ci sarebbe mai piombata una Fornero dal nulla a sdoganarci il FATER, ma tant’è che questo sta proprio accadendo, qui ed ora. Del resto, per capire che c’è qualcosa di taroccato in tutta questa vicenda, basterebbe chiedersi: “ma dove sono finiti i vantaggi di quel progresso tecnologico che avrebbe dovuto permettere a tutti di lavorare meno e godersi di più l’esistenza?”. Evidentemente qualcuno se li è rubati nel nome del profitto, della globalizzazione e del libero mercato, trasformandoli in denaro nella misura in cui vengono sottratti alle nostre vite. E personaggi come Monti e la Fornero sono la prova vivente che la realtà supera ogni fantasia: ovviamente in peggio.

27 dicembre 2011

P.S.: il più accanito sostenitore, senza riserva alcuna, del governo Monti è un partito, l’UDC , che si dichiara apertamente sostenitore dei valori cristiani nella politica e nella società. Dio non è solo morto ma è anche sepolto, e non gli basteranno tre giorni per risorgere.


[1] costituito all’interno del Ministero degli Affari Sociali.

[2] Claudio Magris: “Democrazia della morte, morte della democrazia”, postfazione a “La morte moderna” di Carl-Henning Wijkmark, pubblicata da Iperborea, 1978.

[3] Siamo uomini o numeri?, di Alessio Mannino; fonte: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=41624


Aggiornamento del 12 aprile 2012

Il vecchietto dove lo metto

Diventar vecchi è una tragedia. Ma fortunatamente non più per i vecchi. Per l’umanità intera. Questo delicato pensiero traspare dalla profezia del Fondo Monetario Internazionale, noto ente benefico con il cuore a forma di trappola. «Se entro il 2050 la vita media dovesse aumentare di tre anni più delle stime attuali» sostengono i buttafuori dell’economia globale, «i già elevati costi del Welfare crescerebbero del 50 per cento». Lo scenario è da film catastrofico. Milioni di anziani che vanno e vengono dagli ospedali terremotando i bilanci delle Asl e le mazzette dei politici. I prezzi dei badanti alle stelle (basta vedere quanto ci è costata Rosy Mauro). Il peso di un esercito di indomiti e canuti nullafacenti a gravare sulle spalle di rari lavoratori precari e precocemente invecchiati. I fondi pensione - senza più nessuno che paga la pensione finiranno per andare a fondo, trascinandosi dietro le Borse, gli Stati e lo stesso Fondo Monetario, che per la gioia del suo ex presidente Strauss-Khan sarà costretto a rifugiarsi in Brasile, uno degli ultimi luoghi del pianeta dove le scuole di samba vantano più iscritti delle bocciofile.

Come scongiurare lo sfacelo annunciato? Qualcuno dovrà pur sacrificarsi. Escludendo che quel qualcuno sia il Fondo Monetario, non restiamo che noi, i vecchietti del 2050. Se l’assenza di diluvi universali dovesse malauguratamente protrarsi, ci toccherà mettere in pratica la soluzione avanzata dallo scrittore Martin Amis: entrare in una cabina al compimento del novantesimo anno, schiacciare un bottone e adios. Per lo spread, questo e altro.

Massimo Gramellini


Aggiornamento del 13 Aprile 2012

Il suicidio anomico dell’Occidente…

di Mariella Pisicchio - 13/04/2012

Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte]
 

Si dice : “si muore”, si sa. Ogni giorno, da sempre, la regola della vita è legata a quella della morte. Ma per quanto democratica sia, la morte non è uguale per tutti. Diceva bene Heidegger, la morte non è un dato statistico e impersonale perché non si muore in maniera generica, ma sono io che muoio, con i miei cenni biografici di nascita, di appartenenza ad un popolo, di lavoro per vivere, di coinvolgimento relazionale, di emozioni e sentimenti.

In effetti la morte, quale accadimento anonimo, finisce per non essere avvertita come realtà pur continuando a restare limite insuperabile, sempre possibile, sicuramente certa.

Il senso della morte rimane comunque nascosto e, al massimo, si fa spazio con forza il diritto ad una fine almeno naturale, fisiologica, ad un decesso per esaurimento delle forze vitali a causa della vecchiaia, una morte legata strettamente al concetto di dignità umana.

Oggi la morte è sempre più anonima e astratta e la neghiamo perché è improduttiva, perché è la fine della circolazione monetaria, lo stop al mercato: non fa pubblicità, né audience, anzi, non deve, al massimo si chiude con l’ultima speculazione commerciale delle onoranze funebri. Il mercato è l’elisir dell’eterna giovinezza, “chiavi in mano” e ti dà l’illusione di non approssimarti mai alla fine, di rimandarne l’appuntamento ad un “poi” indefinito ed assoluto.

Ma un giorno l’anziana vedova che abita nel tuo palazzo al secondo piano, proprio lei, così discreta e silenziosa, che salutavi ogni mattina quando scendevi per andare in ufficio, che trovavi ad innaffiare le piante sul balcone, beh, proprio da quel balcone si è buttata giù. Perché? Perché lo stato le ha assottigliato la pensione da 800 a 600 euro. Ed ecco che la morte diventa scandalo perché assume un nome, un cognome, un volto noto, un corpo, una storia e abita la livida veste del suicidio.

Il suicidio è un’azione che risulta incomprensibile perché è compiuta scientemente con autodeterminazione feroce contro la vita e questo appare impossibile ai più.

Non esistono dati attendibili sul totale di suicidi nel mondo: quelli forniti dalle fonti ufficiali negli ultimi anni oscillano tra 400.000 e 779.000 e in molti Paesi il suicidio rientra tra le prime dieci cause di morte nella popolazione; Più dei 90% dei suicidi risultano affetti da qualche malattia psichiatrica, nella maggioranza dei casi si tratta di depressione e di alcolismo.

La depressione è un male trasversale poiché non è solo prerogativa dei pensionati emarginati dal circuito produttivo e deboli perché pervasi dalla coscienza dell’abbandono, dell”inutilità” in cui l’efficientismo sociale contemporaneo li relega irrimediabilmente. E’ un comune terreno favorevole per l’instaurarsi di stati depressivi e, quindi, per l’affacciarsi dell’idea di togliersi di mezzo.

Il viversi come “peso”, onere sociale, è una fonte inesauribile di colpi bassi all’ autostima e alla dignità dell’uomo. Il giovane disoccupato che vive il presente come unica dimensione esistenziale ha in comune con il “vecchio” il nichilismo della vita, l’improiettabilità dell’essere nella storia, ingrediente peculiare per innescare la miccia della depressione. Il vivere per il nulla, qui ed ora, è innaturale, alla lunga, per l’uomo di qualsiasi tempo e di tutte le età. Le dinamiche sociali di questi ultimissimi giorni, in cui la depressione economica coincide con la depressione esistenziale sono, in questo senso, perniciose: se un futuro esiste è solo intessuto di rinunce senza schiarite all’orizzonte. «L’uomo è ciò che fa», diceva André Malraux, ma se non riesce a provvedere ai bisogni elementari, tantomeno a garantirsi un benessere sociale, allora il senso di fallimento è tale da annientarlo su tutti i fronti.

Così, solo nei primi tre mesi del 2012 si sono verificati una decina di suicidi: una settanottenne pensionata di Gela, a cui era stato decurtata la già miserrima pensione, un artigiano romano di 57 anni si è impiccato nel retrobottega del suo negozietto di cornici per problemi economici, il quarantanovenne tranese Giuseppe Pignataro, imbianchino ormai da tempo disoccupato e incapace di provvedere alla sua famiglia, si è lanciato dal balcone di casa, un imprenditore quarantaquattrenne di Pescara, strozzato dai debiti si è impiccato nella sua azienda per estrema vergogna nel non poter più pagare i salari ai suoi dipendenti, un artigiano ventinovenne di Scorano (Lecce) sì è impiccato lasciando indelebile su un biglietto tutta la sua disperazione per l’impossibilità di trovare un lavoro, un elettricista di Sanremo di 47 anni si è sparato puntandosi la pistola alle tempie.

E’ così, si muore, si sa. Ma la nostra società ha gravi responsabilità in merito, quasi impegnata a realizzare lo smantellamento dell’istituto familiare, dopo averlo radicalmente stravolto con una crescita economica mal gestita e attuata. Una contemporaneità che disumanizza i rapporti interpersonali, privilegiando relazioni per lo più utilitaristiche e anonime che condannano l’uomo all’anomalia dell’ isolamento in un contesto sociale che scardina il vissuto esistenziale privato, intimo ed emozionale e lo fa sprofondare nel buio della solitudine senza speranza di aiuto. Incomunicabilità, ansia, angoscia. «Il suicidio anomico», così definiva Durkheim il moderno suicidio “occidentale”, “Anomia” significa “mancanza di valori”, di ideali da realizzare, di norme reali da seguire. E’ l’estremo urlo muto di chi non ha le spalle larghe per sostenere le congiunture economiche che gli cambiano il tenore di vita; il gesto di chi si è perso nel labirinto di una società che, nella chimera di un benessere per tutti, evolve troppo freneticamente. Una vita in corsa, non da percorrere, una vita che non riesce a vivere e abortisce lungo i margini della strada.

Già, si muore, si sa.